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Questo "racconto" inviato al blog da Simone Terrosi ci narra la sua esperienza di come si diventa rugbisti e cosa si prova a sentire per la prima volta la vera appartenenza ad una squadra.
Sono passati
più di due anni da quando, per la prima volta, ho preso tra le mie mani un
pallone ovale. Se una qualche veggente, vestita di larghe sottane con il naso arcigno
e l’aspetto truculento, mi avesse predetto che un giorno sarei diventato un
giocatore di rugby e avrei disputato un campionato FIR, con ogni probabilità l’avrei
liquidata con una sprezzante battuta di scherno.
Ricordo
perfettamente la mia prima partita di rugby, io calciofilo per scelta, dedito a
praticare questa disciplina per oltre due decenni, su sparuti e spelacchiati
campi di provincia, mi ritrovo, come catapultato in un futuro parallelo, di
fronte al mio nuovo allenatore, che tra le mani non ha la palla sferica ma
bensì quella ovale; il mentore di questa nuova disciplina mi guarda fisso negli
occhi e con cadenza tranquilla ma decisa pronuncia queste parole: “oggi giochi
con il numero 15, estremo”.
L’estremo
l’ultimo baluardo prima della caduta, l’uomo dai nervi d’acciaio, il cui
sguardo vola oltre la linea di difesa e di attacco. Dopo quasi venti anni
trascorsi tra i pali di una porta di calcio, giocare la mia prima partita di
rugby come estremo non mi entusiasmava. Dentro di me era ancora nitida la
sensazione di solitudine che si prova giocando in un ruolo atipico, fuori dagli
schieramenti, non avendo praticamente mai un compagno al tuo fianco con il
quale scambiare anche un solo cenno d’intesa. Ma così voleva l’allenatore;
scendemmo in campo alle ore 12:00, sotto un cielo limpido in una splendida
giornata primaverile, io, come stabilito, vestivo la maglia numero 15.
Gli avversari
erano una squadra molto esperta di Old rinforzata da alcuni giovani innesti,
noi eravamo e siamo i Vikings Chianciano. La partita entrò subito nel vivo. Gli
ospiti si fiondano sulla nostra linea di difesa con la stessa furia con la
quale il mare leviga e scolpisce le scogliere, il terreno di gioco melmoso
mostra gli attori di questo meraviglioso spettacolo intrisi di sudore e fango.
Ad un tratto
una giovane e possente ala avversaria, con un guizzo, penetra nella nostra
linea di difesa, dai sui occhi, incastonati in volto poco più che
adolescenziale, affiora nitida la determinazione a terminare la sua corsa oltre
la linea di meta. In quel preciso momento mi sono sentito solo, io sperduto
fante Napoleonico che nella radura di Waterloo affronta un cavaliere britannico
della divisione “Dragoni”. Mi gettai con tutto me stesso sulle sue gambe,
l’impatto fu violentissimo, il paradenti mi cadde dalla bocca, la presa su sui
bicipiti era salda, ero stato capace di fermare il suo incedere furioso ma
purtroppo, nonostante il mio impegno, il mio avversario non cadde a terra. Ingaggiammo una lotta furibonda, nessuno dei
due era deciso a cedere, quando ad un tratto un urto deciso fece capitolare il
mio avversario fuori dal rettangolo di gioco, un mio compagno, vedendomi in
difficoltà, era rientrato dallo schieramento di difesa e aveva vibrato un
deciso placcaggio al ventre della giovane ala.
In quel
preciso momento il rugby mi ha conquistato, come la più seducente delle amanti,
è bastato un gesto per far capitolare il mio credo calcistico in favore della
palla ovale. In quell’istante ho inteso che nel rugby, come d’altronde nella
vita, se affronti le difficoltà con determinazione e coraggio non sarai mai
solo, ci sarà sempre qualcuno disposto ad aiutarti.
Oggi, a
distanza di due anni, seduti all’interno di spogliatoi spesso fatiscenti, su
panche scricchiolanti, intrisi di odori pungenti con il capo chino trepidiamo
nella speranza di sentir pronunciare il proprio nome durante la chiama dei
quindici che scenderanno in campo e quando questo accade, una sensazione di
fremito attraversa il corpo, nel momento in cui il capitano ti consegna la
maglia dei Vikings, che da lì a poco indosserai in campo, l’orgoglio e la
consapevolezza di non poter tradire la fiducia dell’allenatore e dei tuoi
compagni scalda le membra facendoti sentire vivo fino al punto più recondito
dell’animo.
Un giocatore di Rugby in
trepidante attesa della prima meta
Valtubo
Post n° 100
Bravo Terra,la storia che ci hai raccontato mi è piaciuta moltissimo,provo simili senzazioni,però non mi è piaciuto tanto come ti sei firmato,sembra che da come lo hai descritto sia solamente un sogno quelo di fare meta.
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